Ricordando…
Anno scolastico 2017/2018, sede centrale, febbraio
Questo giovedì vogliamo raccontarvi la storia di una famiglia.
Il nostro studente è il papà: è nato in Romania, è di etnia rom, ha una moglie e tre figlie.
Lo aspettavamo a settembre per il nuovo anno scolastico, ma al primo giorno di scuola il suo banco è rimasto vuoto. Anche al secondo giorno. Al terzo, con alcuni colleghi abbiamo preso in mano il telefono.
Ci ha risposto la moglie, da un campo rom che oggi è situato non lontano da qui. Il marito non può venire a scuola. Lo hanno arrestato. Furto di automobile. Sei mesi. Uscirà a febbraio.
Ma non è questo che la preoccupa. Più che da moglie, la donna parla da mamma. Parla delle sue tre figlie, tre bambine: la maggiore ha 9 anni, la minore 4. Una maestra ha segnalato ai servizi sociali del Comune che la famiglia abita nel campo rom e un giudice ha deciso di affidarle tutte e tre a uno zio, che vive in appartamento.
Saggia decisione, penso io. Senza dubbio.
Se non fosse che lo zio ha precedenti penali, è stato in carcere per molestie sessuali. Vive da solo. No, ora vive con tre bambine.
Il telefono mi scivola di mano, ma lo riprendo subito: cerco i servizi sociali, riesco a farmi mettere in contatto con chi si è occupato della vicenda. Un’altra donna, che forse intende rassicurarmi: “Abbiamo controllato la sentenza di condanna. La donna che ha subito violenze sessuali da lui è adulta, quindi l’uomo non è pedofilo e le bambine sono al sicuro”.
Sono al sicuro?
Con i miei colleghi contattiamo la scuola primaria frequentata dalle bambine. L’anno scolastico per loro è iniziato regolarmente, ma la segreteria non ci permette di parlare con le maestre.
Ne incontriamo una all’uscita, nei primi giorni di ottobre. Racconta: “Erano affezionate al papà e alla mamma. Fino a che vivevano con i genitori, ovunque fossero, quel che posso dire è che sono sempre venute a scuola in ordine e con i compiti fatti. Erano seguite bene. Non ho mai incontrato lo zio, non l’ho mai visto. Le bambine non parlano di lui”.
Passano i mesi. I miei colleghi e io rimaniamo in contatto con le maestre della primaria e impariamo a voler bene alle bambine, ma nulla cambia: lo zio rimane un fantasma, nessuno lo conosce e nessuno lo ha mai incontrato. Tranne la donna che ha molestato, continuo a pensare io.
Ormai siamo a febbraio quando il papà, una mattina, entra in classe.
È di buon umore. Di ottimo umore. Ci ringrazia e racconta che durante i sei mesi che ha trascorso in carcere ha imparato a lavorare (“Così non dovrò più rubare!”) e nel frattempo la moglie è riuscita a ottenere dal Comune le chiavi di un appartamento delle case popolari.
Soprattutto, il sorriso raggiante sulle labbra e negli occhi dell’uomo ha una causa precisa: “Posso riabbracciare le mie figlie!”
Adesso vivono insieme, in appartamento. “Andiamo a scuola quasi negli stessi orari, e dopo io vado al lavoro. Poi ci mettiamo intorno al tavolo in cucina e studiamo insieme: in appartamento c’è silenzio, così studiare è facile! Mia moglie ci ascolta e impara anche lei! Voglio mostrarti la nostra nuova casa: quando vuoi, tu e tutti gli altri insegnanti dovete venire a cena. Finalmente siamo tutti a casa e finalmente abbiamo la nostra casa!”.
Lo zio non è stato invitato (e neanche gli assistenti sociali).
HOME AT LAST
Recalling…
School year 2017/2018, main building, February
This Thursday we are telling the story of a family.
Our student is the father: he was born in Romania, he is of Rom ethnicity, he has a wife and three daughters.
We were waiting for him in September, at the beginning of the new school year, but on the first day his seat was empty. On the second day too. On the third one, some colleagues and I contacted him by phone.
His wife answered, from a Rom camp not too far from here. Her husband cannot come to school. He was arrested. Car theft. Six months. He will be released in February.
This is not what is bothering her. She is speaking as a mother, more than as a wife. She speaks of her three daughters, still children: the oldest is 9, the youngest is 4. A teacher notified Child Protective Services that the family lives in a Rom camp and a judge assigned their custody to an uncle, who lives in an apartment.
Smart decision, I think. No doubt.
Thing is, this uncle has a criminal record, he was incarcerated as a sex offender. He lives on his own. No, he now lives with three children.
The phone slips from my hand, but I manage to catch it: I contact Child Protective Services, with the person managing this case. Another woman, which is perhaps trying to reassure me: “We checked the sentence. The woman who was molested by him was an adult, therefore he is not a paedophile, and the kids are safe”.
Safe?
My colleagues and I contact their elementary school. They started the school year regularly, but the secretary won’t let us speak to their teachers.
At the beginning of October, we meet one just out of school. She says: “They were close to their parents. As long as they were living with them, wherever they lived, I can say they always came to school regularly and did their homework. They were taken care of. I never met their uncle, I’ve never even seen him. The kids won’t speak of him.”
Months go by. My colleagues and I keep contact with the teachers and we learn to love the kids, but nothing is changing: their uncle might as well be a ghost, no one knows him and no one ever met him. No one except the woman he molested, I think.
It’s February now, and one morning the dad walks into the classroom.
He is in a great mood. He thanks us and says that, in the six months he spent in prison, he learned a job (“So, I won’t have to steal anymore!”) and in the meantime his wife managed to get assigned to an apartment in the housing projects.
Most of all, his smile is due to a specific cause: “I can hug my daughters again!”
They now live together, in the apartment. “We go to school in the same hours, and afterwards I go to work. Then, we study together at the kitchen table: the apartment is silent, therefore studying is easy! My wife listens and she learns as well. I want to show you our new house: when you’re free, you must come to dinner and all the other teachers as well. We are home at last and we have our own house!”
The uncle wasn’t invited (neither were CPS).
Comments